Le 8 informazioni essenziali per consentire il monitoraggio civico dei progetti del PNRR

Il PNRR è un’occasione unica per cambiare l’Italia. Il 18 settembre al Festival della Partecipazione si è parlato a lungo di trasparenza e accesso alle informazioni pubbliche per consentire a tutti di presidiare le riforme e gli investimenti del piano.

Nei mesi scorsi, numerose organizzazioni della società civile, università e comunità civiche si sono unite in varie iniziative – noi facciamo parte dell’Osservatorio Civico PNRR e di Libenter – per chiedere maggiore partecipazione alle scelte di investimento, nonché informazioni puntuali su come i fondi si stanno spendendo.

Durante il workshop pomeridiano, Monithon ha introdotto, in collaborazione con Cittadinanzattiva, definizioni e obiettivi del monitoraggio civico dei fondi europei, un metodo essenziale per aumentare la consapevolezza dei cittadini sull’uso dei fondi pubblici, valutarne avanzamento, risultati e efficacia, intercettare i bisogni dei territori e favorire un dibattito informato per incidere sulle politiche pubbliche.

Cosa monitorare: gli investimenti del PNRR

Nel PNRR entreranno progetti ancora da selezionare, progetti in fase di avvio e oltre 50 miliardi di progetti già in corso o conclusi, pronti per essere analizzati (fonte: tabella “quadro PNRR” aggiornata al 30.09).

Quali sono gli obiettivi e gli “oggetti” del monitoraggio civico? Ecco alcuni esempi.

Se i progetti non sono stati avviati: analizzare in forma aggregata gli investimenti o “sub-investimenti”; partecipare ai processi pubblici di allocazione delle risorse, selezione dei progetti, design degli interventi (es. partecipazione alle scelte di intervento anche tramite consultazioni pubbliche e tavoli di lavoro; collaborazione alla scrittura dei bandi pubblici).

Se i progetti sono in corso: analizzare l’avanzamento complessivo attraverso statistiche, visualizzazioni, analisi aggregate (es. “Quante risorse vanno davvero al Sud?”, “Quante ai giovani?”); oppure valutare i singoli progetti: controllare l’avanzamento della realizzazione di servizi o infrastrutture attraverso visite dirette, interviste, questionari, focus group, analisi di dati da diverse fonti; identificare i problemi; valutare i risultati intermedi; proporre idee e soluzioni.

Se i progetti sono conclusi: verificare i risultati e l’efficacia/la qualità dal punto di vista del cittadino/utente finale, anche attraverso la valorizzazione di appositi indicatori quantitativi.

Quali dati sono essenziali per il monitoraggio civico… ma ancora non pubblicati

Si è già fatto un gran parlare del nuovo sito del Recovery Plan Italia Domani, che mostra informazioni su milestones e target a livello di “investimento”, cioè, per semplificare, per “famiglia” di progetti. Qualche info in più è riportata nelle tabelle allegate al Decreto del MEF del 6 agosto 2021 e in 4 tabelle segnate come “open data” nella sezione documenti dello stesso sito ieri, 1 ottobre 2021. Tra i dati interessanti, quelli per “sub-investimento”, la misurazione dei target e l’assegnazione degli investimenti alle amministrazioni centrali. 

Il sito è chiaro e leggibile, certamente più facile da consultare che il PDF del PNRR. Manca però ancora il livello successivo, cioè il dettaglio dei progetti oggetto di finanziamento, che stanno entrando ora nel sistema di monitoraggio amministrativo (nonostante alcuni progetti siano già stati individuati, come nel caso di alcune grandi infrastrutture).

La seconda parte del workshop del Festival della Partecipazione è stata dedicata, infatti, proprio a una simulazione di monitoraggio civico di un singolo progetto del PNRR, usando i dati governativi di OpenCoesione sui fondi europei come base per raccogliere nuove informazioni attraverso interviste e valutazione sul campo. I nostri Antonella Ciociola, Luigi Reggi e Cinzia Roma, preceduti da un breve focus di Lorenzo Perone (OnData) su come dovrebbero essere i dati per essere leggibili e utilizzabili, hanno condiviso il metodo di Monithon con un gruppo di organizzazioni della società civile, giornalisti e enti del terzo settore, con un obiettivo: come individuare i dati che occorrono per monitorare, ad esempio, la realizzazione di una pista ciclabile (nel PNRR: mobilità ciclistica)?

L’idea è semplice. Quando i dati pubblici sono disponibili, si possono rappresentare i progetti su una mappa interattiva come il Project Finder; gli stessi dati possono essere usati durante varie fasi del monitoraggio, come accade ad esempio nella guida MoniTutor (qui i materiali presentati).

La simulazione ha portato a un dibattito su quali dati sono “condizione necessaria” per abilitare il monitoraggio civico dei progetti e stimolare dibattito e partecipazione. Eccone alcuni:

  1. Come sono state prese le decisioni: chi ha deciso che quel progetto andava finanziato? Come sono state scelte le modalità di realizzazione? C’è coerenza tra obiettivi del piano e obiettivi del progetto? (vedi anche questo articolo)
  2. Cosa viene finanziato: Qual è l’oggetto del progetto? Quali sono gli obiettivi e le modalità realizzative?
  3. Le procedure amministrative di “attivazione”: quali procedure hanno dato origine al progetto (es. delibere, bandi, contratti…)? Su questo è da leggere il documento di proposte del Forum Disuguaglianze e Diversità.
  4. Le procedure di gara: quali gare pubbliche sono (eventualmente) collegate alla realizzazione del progetto? Quali affidamenti e a chi? Tecnicamente, quali Codici Identificativi di Gara (CIG) sono associati a ciascun Codice Unico di Progetto (CUP)?
  5. Soggetti coinvolti: quali soggetti pubblici e privati hanno un ruolo (e quale) nel progetto? Es. gli enti locali o le imprese che realizzano opere o servizi, e eventuali subappalti.
  6. Localizzazione: Qual è l’indirizzo o l’area in cui il progetto si realizza? Quali sono le coordinate dei soggetti coinvolti?
  7. Stato di avanzamento: a che punto sono le procedure previste? Cosa è stato realizzato e cosa manca da fare? Quanto è già stato speso? Come sono andati gli eventuali audit / controlli amministrativi (evidenze, materiali)?
  8. Risultati e outcome previsti dal progetto: quali indicatori quantitativi sono utilizzati per verificare che il progetto abbia prodotto risultati?

Rimaniamo dunque … in attesa che queste informazioni siano pubblicate su ItaliaDomani o altro portale governativo!

Scarica il cruci-monitoraggio, il gioco dell’estate 2021

Scarica e stampa QUI il gioco dell’Estate 2021: il Cruci-Monitoraggio (civico)… e ricordati di metterlo in valigia 😁😅

CheFare contro la corruzione? Monithon e Gruppo Abele in rete per #Futura

C’è tempo fino al 5 novembre 2015 per votare la scuola Futura, candidata col numero 13 tra i 40 finalisti di “cheFare”, il bando che premia i progetti culturali ad alto impatto sociale. Tra i partner del progetto anche Monithon, per una lotta alla corruzione a suon di monitoraggio civico.

Cos’è Futura?

iovotofuturaFutura è la prima scuola italiana pensata dall’associazione Gruppo Abele per promuovere la cultura dell’integrità, della trasparenza e del monitoraggio civico mettendo in rete le migliori esperienze nazionali già attive sui temi. Il modello di formazione civica proposto è quello della scuola-community.

Cos’è una scuola-community?

La scuola-community è una modalità sperimentale di formazione che comincia tra i banchi di un’aula e prosegue sul web. Futura è anzitutto una scuola, perché è un luogo fisico (con sede a Torino, presso il Gruppo Abele) dove i partecipanti (attivisti tra i 23 e i 99 anni appartenenti ai partner del progetto e al Master APC) acquisiscono e condividono conoscenza. Ma è anche una community, perché il suo scopo è generare progettazione comune nel tempo e a distanza, anche attraverso il web. Non solo lezioni teoriche quindi: Futura permetterà la condivisione di un sapere pratico costruito dai cittadini per i cittadini. A fine percorso gli allievi saranno concretamente in grado di progettare e avviare campagne digitali, condurre inchieste di data e civic journalism e maratone di monitoraggio civico, dialogare con le istituzioni sulle migliori strategie anticorruzione da adottare.

Qual è la ricetta vincente di Futura?

Il segreto è nei suoi ingredienti speciali: il progetto, sostenuto da due importanti realtà di ricerca, il master APC dell’Università di Pisa e l’associazione Openpolis, vede come partner del Gruppo Abele le associazioni e le iniziative più attive in Italia nella promozione della trasparenza, della legalità, dell’accesso civico e degli open data. ActionAid, Cittadini Reattivi, Cittadinanzattiva, Libera, Monithon e OnData hanno accettato la sfida, portando in Futura le loro migliori armi per condividere una strategia civile di lotta alla corruzione. Futura si impegnerà a garantire che 5 progettazioni ideate durante il percorso, più innovative sui temi e sul fare rete, saranno adottate dai partner, dando loro seguito. Questo per favorire l’attivazione di network territoriali e generare impatto sociale duraturo nel tempo.

Perché Futura?

In Italia la corruzione assume ormai carattere sistemico e diffusivo. Illegalità e malaffare non sono solo un problema di regole, ma anche di cultura: per questo Futura punta alla creazione di una rete cooperativa tra le realtà prima indicate che sia in grado di rilanciare una cultura di partecipazione e condivisione. Se rassegnazione e disinteresse sono il brodo di coltura della corruzione, la proposta di Futura risponde mettendo attorno lo stesso tavolo le migliori forze e conoscenze del nostro Paese e attivando un circuito virtuoso di apprendimento, una massa critica di cittadini sensibili e formati sui temi dell’integrità pubblica. Del resto, così recita lo slogan di Futura: “se i corrotti fanno dell’unione la loro forza, gli onesti devono fare lo stesso”.

Monithon partner di #Futura

Stanchi di domandarvi se quell’enorme cavalcavia che vi sta davanti sia un’opera essenziale per la città in cui vivete, o se sia solo una di quelle mastodontiche infrastrutture che, inutilizzate, andranno a finire, per esempio, nell’archivio fotografico di “Posti e luoghi abbandonati in Italia”? Avete voglia di scoprirne qualcosa di più? Ci vuole allora una “maratona di monitoraggio” o, in breve, un Monithon.  Per coloro che ancora non lo conoscono, Monithon è un’iniziativa indipendente di monitoraggio civico dei progetti finanziati dalle politiche di coesione in Italia, basata sulla disponibilità di informazioni e dati aperti rilasciati sul portale OpenCoesione.

Indipendente (sì, chiunque può partecipare), ma non completamente anarchica: per questo, esiste un vero e proprio metodo Monithon, ideato e sperimentato sul campo, ma implementabile e modulabile a seconda dell’oggetto di analisi e delle esigenze di chi effettua il monitoraggio (“monithoner”). Un metodo in continua evoluzione, insomma. Apprenderne i segreti permette di scoprire e analizzare come vengano utilizzati parte dei fondi pubblici, interrogarsi su elementi positivi e criticità dei progetti, formulare un giudizio critico e pubblicarlo in rete, mettendolo a disposizione di tutti.

Qual è l’ingrediente segreto di Monithon per #Futura? Curiosità… generativa!

Decalogo per il perfetto monithoner from Acropolis2015

Il secondo degli 11 punti per definire l’identikit di un cittadino “monitorante” elencati da Giulio Di Chiara è molto chiaro: “curiosità: è l’ingrediente che muove il mondo. Avere una buona dose di curiosità distingue un cittadino comune da un altro che non subisce passivamente tutto ciò che lo circonda”. Il “filo rosso” della #Futura scuola-community è proprio una domanda, una domanda di trasparenza, a partire dalla quale i partecipanti impareranno a collegare in forma di progetto proprie osservazioni, interessi comuni, analisi di dati e specificità di un territorio. Impareranno a generare altre domande, insomma, a chiedere conto alle istituzioni del loro operato. Un esempio? Una nuova versione dell’ “identikit del cittadino monitorante” corredata di ulteriori citazioni, esempi e consigli realizzato dagli studenti dell’istituto di istruzione superiore S. Pertini di Alatri (FR), che hanno conosciuto il metodo Monithon seguendo il percorso didattico A Scuola di OpenCoesione nell’anno scolastico 2014-2015.

E se “Scoprire è meglio che capire, capire è meglio che spiegare”, come recita un vecchio e stracitato post del gruppo musicale elettropop bolognese Lo Stato Sociale, quale luogo meglio di una scuola-community per scoprire le potenzialità di un territorio, per poi capire come possono strutturarsi, organizzarsi, costituirsi come rete, creare una reale possibilità di accountability?

Perché #iovotoFutura?

Servono altre motivazioni? Scriveteci! monithon@googlegroups.com

 

Post a cura di Antonella Ciociola e Cinzia Roma

 

Monithon all’Euhackathon, un report da Bruxelles

Con grande entusiasmo il team di Monithon ha partecipato alla quarta edizione di “EUHACKATHON, hack4participation” un evento organizzato a Bruxelles in collaborazione con alcune istituzioni europee.  L’obiettivo della manifestazione è quello di “costruire un ponte” tra policy makers e coders per capire insieme come il Codice può aiutare la Legge. Superata una prima selezione online siamo volati nella sede di Google Brussels dove si è svolto un hackathon in piena regola: stanzone con tavoloni divisi per team (qui tutti i partecipanti), buffet sempre ricco, ticchettio continuo di tasti come colonna sonora costante. Grande emozione per la presenza di Vint Cerf, (uno degli inventori del protocollo TCP/IP) oltre che della  giuria ufficiale.

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Cosa abbiamo fatto?

Sul fronte coding siamo partiti dal perfezionare il nuovo sito di Monithon (Marco Montanari sta coordinando lo sviluppo e a breve verrà lanciato ufficialmente). Ecco una piccola anticipazione della home page:

monithon.org

Partendo da qui abbiamo lavorato su concept e realizzazione di una webapp: uno strumento che, interfacciandosi con il nuovo sito, permetta di associare automaticamente il materiale multimediale raccolto sul campo durante le visite di monitoraggio al più approfondito report che ne consegue. Le foto e i video raccolti con la app verranno infatti inseriti automaticamente sul sito e associati ai report corrispondenti ma, importante, senza sostituirli. Come “slow hackers” ci teniamo molto a mantenere l’esistente format di monitoraggio, ricco e documentato, che si avvale di ricerche approfondite che vanno oltre la mera raccolta di evidenze.

Oltre allo sviluppo vero e proprio di una demo che a breve sarà scaricabile, abbiamo costruito il mock up della sua navigazione e fatto ipotesi su un nuovo possibile logo:

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(licenza Binoculars by Luis Prado from The Noun Project)

Una delegazione di monithoners è partita inoltre in esplorazione per verificare un progetto finanziato a Brussels, ma di cui non abbiamo trovato informazioni di tipo amministrativo, ma che abbiamo visitato e fotografato senza ahimè incontrare utenti da intervistare. Qui di seguito trovate la presentazione che abbiamo utilizzato per il pitch.

I progetti vincitori sono pubblicati in home sul sito ufficiale della manifestazione

  1. Team Videodock (the Netherlands)
  2. Team Commission Today (Romania/Germany/USA)
  3. Team Frontwise (the Netherlands)

Qui il Video Ufficiale Della Manifestazione

Riflessioni 

Ci è sembrato che siano stati preferiti progetti di partecipazione che coinvolgono i cittadini europei in senso consultivo nell’attività parlamentare, e non di partecipazione sull’attuazione e valutazione ex-post dell’attuazione delle politiche europee.

Invece, esportare Monithon come metodo anche negli altri paesi europei sarebbe a nostro parere molto importante per convogliare verso le istituzioni europee idee e suggerimenti che derivano dall’esperienza concreta del monitoraggio dei singoli progetti.  In Europa, però, non esiste un codice unico di progetto (es., in Italia, il CUP) valido per tutti i progetti finanziati dalla Commissione. Guardando ai dati sui fondi strutturali equivalenti a quelli pubblicati in Italia da OpenCoesione, negli altri paesi EU si hanno spesso meno dati sul finanziamento e meno informazioni dettagliate sui cantieri (vedi ad esempio questo report). Come tracciare quindi questi finanziamenti?

Nello scorso Luglio è nata una nuova piattaforma open data che fornisce informazioni relative agli investimenti effettuati e ai risultati ottenuti dalle Politiche di Coesione all’interno dei Paesi membri: Politica Regionale – Inforegio.

Gli Stati Membri e le Autorità di Gestione dei Programmi Operativi sono obbligati a rendere disponibili informazioni sull’utilizzo dei Fondi, secondo quanto stabilito dall’art. 69 del Regolamento UE 1083/2006: in particolare, il nome dei beneficiari che hanno ricevuto un finanziamento, la denominazione degli interventi (il titolo del progetto) e l’importo del finanziamento pubblico ad essi destinato.

Ampio spazio viene dunque lasciato alla discrezionalità in termini di dettaglio, qualità, accesso, possibilità di riuso e visualizzazione dei dati pubblicati. Nello specifico navigando la sezione “beneficiari della politica di coesione dell’Unione Europea” abbiamo constatato la difformità relativa alla presenza di un codice alfanumerico che identifichi in maniera univoca il progetto, ovvero uno strumento equivalente al CUP (Codice Identificativo di Progetto).

In alcuni casi risulta assente qualsiasi codice identificativo.

Qualche esempio:

Ecco il portale del Consiglio della Regione Sud Est dell’Irlanda (in evidenza campo titolo del progetto, dove, tema di investimento, importo del finanziamento)

Irlanda

Il corrispettivo portale francese presenta una mappa a coroplete che consente la navigazione dei dati sui beneficiari di regioni, dipartimenti e comuni. Ad esempio si può scendere al dettaglio della lista beneficiari della regione di Bretagna, dipartimento di Ille-et-Vilaine, comune di Rennes: ecco la lista dei beneficiari ad esso riferita (in evidenza campo beneficiario, titolo del progetto, dove, importo del finanziamento)

Rennes

Il portale spagnolo presenta tre liste pdf dei beneficiari di:

  • Programas Operativos Regionales FEDER
  • Programas Operativos Plurirregionales FEDER
  • Programa Operativo Fondo de Cohesión – FEDER

Ecco un esempio del Programa Operativo FEDER della Regione dell’Andalusia (in evidenza campo beneficiario, titolo del progetto, importo del finanziamento concesso e totale rendicontato)

Spagna

In altri paesi, un codice identificativo invece è presente. Ecco gli esempi dal portale della Lituania (prima immagine), Repubblica Ceca  e Slovacchia, dove è possibile navigare una mappa fino a giungere al dettaglio della scheda di progetto geolocalizzata: in figura due progetti delle rispettive capitali, Praga e Bratislava (in evidenza, campo del codice identificativo)

Lituania

Praga

Bratislava

Tuttavia il fatto che un codice identificativo di progetto non compaia in associazione al progetto stesso, non significa necessariamente che esso non ci sia. Forse esso esiste nei singoli sistemi informativi nazionali e delle autorità di gestione, ma non viene pubblicato in quanto il Regolamento UE obbliga alla pubblicazione delle liste dei beneficiari e non dei progetti. Ad esempio, sappiamo per certo che in Italia un codice identificativo esiste: il CUP. Ma è facile verificare, a partire dalla sezione dedicata all’Italia del portale Politica Regionale – Inforegio, che anche in questo caso, pur esistendo un CUP, esso non viene riportato dalle singole Regioni responsabili dei POR.

Mumex: un progetto per i musei del Mezzogiorno

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Il patrimonio culturale ha senza dubbio un potenziale nello sviluppo e nella crescita economica dei territori, non solo per la creazione di nuovi spazi occupazionali e la valorizzazione di aree emarginate, ma anche per il miglioramento del capitale sociale innescato dalla crescita culturale delle comunità locali, dal recupero delle identità territoriali e dalla cooperazione per incentivare iniziative territoriali. Il caso del Mezzogiorno, tuttavia, dimostra che la presenza del patrimonio culturale, da solo, non è sufficiente a generare sviluppo e crescita economica: basta esaminare i dati diffusi dall’ENIT (Agenzia Nazionale per il turismo) sugli arrivi internazionali per il periodo 2012-2013.

L’Italia si colloca al 5° posto della classifica, ma su oltre 180 mln di visitatori stranieri, oltre il 60%  (100 mln circa) sono concentrati in sole quattro regioni: Veneto, Lombardia, Lazio e Toscana, nonostante una pari qualità e quantità del patrimonio culturale del Mezzogiorno rispetto a queste regioni. Con lo scopo di attuarne il potenziale nelle regioni dell’Obiettivo Convergenza, il MiBACT, insieme al DPS e ad Invitalia, ha avviato nel 2008 il progetto pilota Mumex, Poli Museali di Eccellenza nel Mezzogiorno (che dovrebbe concludersi in questo Dicembre 2014).

Il suo obiettivo è quello di potenziare l’offerta di parte del patrimonio culturale e museale del Mezzogiorno e contribuire alla crescita economica e sociale.

L’offerta culturale in Italia risulta generalmente poco competitiva: nessun museo italiano è nelle top ten dei musei più visitati al mondo per alcuna tipologia. Unica eccezione: i Musei Vaticani, che si trovano però all’interno della Città del Vaticano (quindi propriamente in un altro stato).

Gli interventi finanziati per il progetto Mumex dovrebbero facilitare l’attivazione di un circuito virtuoso di “tutela-conservazione-valorizzazione-sviluppo”. Per la sua attuazione sono stati selezionati una serie di interventi da realizzare, ritenuti utili per migliorare lo standard qualitativo dell’offerta culturale, eventualmente replicabili in tutti i musei italiani, qualora risulteranno aver avuto un impatto positivo. Per la scelta dei Poli Museali che avrebbero partecipato al progetto pilota è stata realizzato uno studio preliminare del sistema di offerta culturale, utile punto di partenza per una valutazione a posteriori dell’efficacia del progetto. La maggior parte degli interventi sono stati di natura “infrastrutturale” diretti alle strutture museali o di ripristino e conservazione del patrimonio culturale (riapertura sale chiuse, adeguamento degli impianti, integrazione delle attrezzature ed impianti di accoglienza, interventi di restauro etc), quindi “più facilmente monitorabili”: pochi gli interventi di promozione e valorizzazione (rispetto ai quali i primi risultano tuttavia funzionali e complementari).

Qualche numero sugli afflussi nei musei italiani

Nella top ten dei musei d’Arte più visitati nel 2013, secondo i dati forniti dall’Art Newspapernell’Aprile 2014, come già scritto ci sono solo i Musei Vaticani. Qui l’elenco completo dei primi 100 classificati: il primo museo italiano è la Galleria degli Uffizi, al venticinquesimo posto.

MuseoLuogoNumero di visitatori annui
1LouvreParigi, Francia9,334,435
2British MuseumLondra, Regno Unito6,701,036
3Metropolitan Museum of ArtNew York, Stati Uniti6,226,727
4National GalleryLondra, Regno Unito6,031,574
5Musei VaticaniCittà del Vaticano, Roma5,978,804
6Tate ModernLondra, Regno Unito4,884,939
7National Palace MuseumTaipei, Taiwan4,500,278
8National Gallery of ArtWashington, D.C., Stati Uniti4,093,070
9Musée National d’Art ModerneParigi, Francia3,745,000
10Musée d’OrsayParigi, Francia3,500,000

Se si allarga la ricerca a tutti i musei (non solo quelli d’Arte dunque), la situazione peggiora. La figura di seguito riporta una infografica elaborata dall’Economist a partire da dati estrapolati dal report annuale 2013 sui numeri di visitatori in parchi tematici e musei curato da AECOM(Architecture, Engineering, Construction, Operations and Management) e TEA (Themed Entertainment Association). I Musei Vaticani scivolano in ottava posizione (quarta però per la classifica europea). Al primo posto ancora una volta il Louvre con i suoi oltre 9 milioni di visitatori l’anno (una curiosità:  Magic Kingdom, il primo parco tematico costruito all’interno del Walt Disney World in Florida, raggiunge il doppio dei visitatori annui del Louvre: l’attrattività di Mickey Mouse è irraggiungibile!)

AECOM attendance museum

I Poli Museali di Eccellenza a Napoli

Il progetto  ha selezionato 21 candidature a Polo Museale (come potete vedere nell’immagine di copertina). Per ciascuno dei Poli la cui candidatura è stata ammessa, sono stati progettati diversi interventi (qui sono descritte le prime progettazioni avviate), finanziati dal CIPE o a valere sulle risorse del POIn Attrattori culturali, naturali e turismo, lo stesso programma operativo nell’ambito del quale è stato finanziato il Grande Progetto Pompei.

Alcuni degli interventi del progetto Mumex ricadono nella stessa area vesuviana e sono -in una certa misura- correlati tra loro ed a Pompei stessa, dal momento che gli interventi andrebbero letti come integrati e finalizzati alla costruzione di un sistema attrattivo anche all’esterno dei singoli Poli Museali, attraverso la riqualificazione del contesto locale e dell’offerta culturale territoriale ed il miglioramento delle condizioni di accessibilità ai siti.

Non basta restaurare il patrimonio, assicurarne la tutela, allestire i musei con tecniche innovative o incentivare la fruizione. Il caso del sito e del museo dell’area archeologica di Paestum è esemplificativo, essendo poco collegata e poco visitata, nonostante la qualità e quantità dei monumenti e dei reperti esposti. Nuovi investimenti sono stati promessi a valere sui Fondi Strutturali a titolarità Mibact 2014-2020: riqualificazione del museo e treni ad alta panoramicità (qui un’articolo sulle dichiarazioni del ministro D. Franceschini rilasciate a Napoli in apertura del Forum Europeo del Turismo dello scorso Ottobre)

Quattro tra i progetti finanziati nell’ambito del Mumex sono relativi a Poli Museali della città di Napoli.

Uno è relativo al MANN (Museo Archeologico Nazionale di Napoli), che accoglie -tra l’altro-  collezioni provenienti da Ercolano, Pompei e Stabia.

Nella scheda sul MANN sul sito del Mumex si esplicitano gli obiettivi generali delle progettazioni che sono state avviate:

I principali interventi progettati per il MANN riguardano opere di natura strutturale e di valorizzazione degli spazi espositivi e tendono ad esaltare l’eccezionalità del patrimonio archeologico oltre che a recuperare la funzionalità della struttura.

Di seguito le tre schede di OpenCoesione relative agli interventi progettati:

Le altre tre candidature “napoletane” a Poli Museali di Eccellenza sono:

Per quanto riguarda Napoli Capodimonte, leggendo la scheda relativa sul sito Mumex e facendo una ricerca su OpenCoesione, si trovano una serie di progettazioni coerenti con gli obiettivi esplicitati: (…) la definitiva apertura del Museo anche nelle ore pomeridiane e serali, la necessità di valorizzare le aree dei giardini verso il belvedere orientale e quello meridionale (luogo di esclusive letture del paesaggio urbano e dell’intero Golfo di Napoli), la possibile integrazione con la più ampia area del parco monumentale attribuiscono alle opere un significativo valore strategico.

In ogni caso andrebbe verificata la pertinenza al progetto Mumex:

Per quanto riguarda Cuore di Napoli e Palazzo Reale, alcuni progetti relativi rintracciati sul portale OpenCoesione sono:

Mumex ha migliorato l’offerta culturale nel Mezzogiorno? I risultati dello studio preliminare di offerta culturale

La valutazione ex ante ha prodotto nel 2010 una analisi della competitività dell’offerta museale del Mezzogiorno e benchmark per la valutazione delle 21 candidature a Polo Museale di eccellenza, i cui risultati sono liberamente consultabili e scaricabili qui.

L’analisi di scenario e delle tipologie museali rileva che il patrimonio culturale del Mezzogiorno concentra al suo interno quasi la metà di tutto il patrimonio archeologico. In Italia, e nel Mezzogiorno in particolare, l’offerta museale è arricchita dalla possibilità di apprezzare anche il territorio in cui sono nati i beni culturali esposti. Si tratta di un rapporto di immediatezza fisica: uscendo dai tanti musei archeologici è quasi sempre visitabile, a poca distanza o addirittura intorno al museo, il sito archeologico da cui i reperti esposti nel museo provengono. Questo è un vantaggio competitivo proprio di pochi paesi al mondo e certamente non replicabile.

L’analisi di benchmarking ha permesso di individuare gli scostamenti tra l’offerta dei musei nel Mezzogiorno e quella di alcuni importanti musei di paragone italiani ed esteri, individuando infine alcune buone pratiche adottate con riferimento a funzioni  ritenute strategiche ai fini di una loro eventuale replicabilità per i musei del Mezzogiorno (servizi di accoglienza, didattica, edutainment, mostre ed esposizioni, marketing e comunicazione, formazione del personale, fundraising e modelli di gestione).

L’analisi di benchmark sulla comunicazione museale si articola in otto schede compilate per ciascuno dei poli museali candidati:

  1. anagrafica
  2. sito
  3. elementi di museografia e museologia
  4. analisi e studio degli elementi che contribuiscono alla comunicazione museale
  5. servizi per l’utenza
  6. rapporti con il territorio e con le comunità che vi risiedono
  7. elementi di mito
  8. analisi della domanda

Sarebbe interessante provare a aggiornare i dati qui forniti a quasi un lustro di distanza per capire se ci sono dei miglioramenti misurabili nei vari parametri utilizzati nelle 8 schede ed altri spunti interessanti potrebbero giungere dall’incrocio con altri dati.

Relativamente alla scheda 4, ad esempio, sarebbe interessante rapportare quei dati a quanto riportato da Museum Analytics, piattaforma web creata dal collettivo tedesco INTK che rielabora i dati statistici raccolti a livello globale dal Walker Art Center di Minneapolis, che da tempo ha avviato un sistema di censimento delle attività di promozione e comunicazione dei diversi musei.

Museums Analytics stila sulla presenza on-line delle principali collezioni pubbliche e private al mondo. Valutando il traffico dei rispettivi siti web, monitorando soprattutto la vitalità dei vari profili sui social network (FacebookTwitter) Nella top 100 il primo museo italiano che si incontra dopo moltissime posizioni è il MAXXI (Museo Nazionale delle Arti del XXI secolo).

Il monitoraggio continuo della scuola di via Bramante a Matera

Durante il monitoraggio del teatro del Borgo La Martella (qui il report) per l’Open Data Day dello scorso Febbraio, nacque l’idea di un’azione civica che ora inizia a muovere i suoi primi passi: il monitoraggio continuo della scuola di via Bramante, che sarà coordinato durante il suo svolgimento da RENA e da alcuni studenti della Summer School Rena 2014.
Entrambi i progetti rientrano nel Piano Nazionale Città, finanziato nel 2012 dal Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti per la rigenerazione delle aree urbane degradate. A Matera l’area urbana oggetto dell’intervento è quella del Borgo La Martella, nato negli anni Cinquanta a seguito dello sgombero dei Sassi, la cui progettazione e creazione fu curata dalla Commissione per lo studio della città e dell’agro di Matera, istituita da Adriano Olivetti.

La vicenda in breve
La scuola di Via Bramante in realtà non è ubicata in Borgo La Martella, ma lungo un asse viario che lì conduce. Essa è stata chiusa con ordinanza sindacale nell’agosto 2012 perché giudicata inidonea dal Centro di competenze sul Rischio Sismico della Regione Basilicata.
Come già scritto, la Scuola di Via Bramante fu fatta rientrare nel Piano Nazionale Città. Nel Gennaio 2013 Matera ricevette il via libera dalla Cabina di Regia del MIT: venne da subito costituito dai genitori degli studenti dell’ex-plesso di via Bramante un Comitato per seguire l’andamento dei lavori di riqualificazione. Nonostante una petizione di cittadini avesse espresso parere favorevole per il recupero della struttura, il 15 Marzo 2013 la Giunta Comunale deliberò che la scuola fosse abbattuta e ricostruita,. L’allora Assessore all’Urbanistica del Comune di Matera, Ina Macaione, spiegò tale scelta come necessaria, in quanto l’edificio non era idoneo né dal punto di vista energetico né in relazione alle nuove linee guida della didattica. Il progetto preliminare, approvato il 7 giugno 2013, prevedeva la realizzazione di un istituto omnicomprensivo, composto da 4 aule per la scuola materna, 10 per le elementari e 6 per le scuole medie. Alla scuola vennero destinati 4,5 milioni di euro da fondi ministeriali più 740.000 euro del Comune di Matera. In fase di quantificazione della spesa, si giunse tuttavia alla conclusione che la dotazione finanziaria per il progetto fosse inadeguata alla realizzazione di quanto preliminarmente previsto. Nello scorso 14 Maggio il Comune di Matera ha inviato alla Regione Basilicata una richiesta di finanziamento integrativo: si chiede di ridestinare al progetto già predisposto per la scuola di via Bramante i 3 milioni che avrebbero dovuto finanziare la messa in sicurezza e ristrutturazione di un’altra scuola della città, la scuola media Torraca di Via A. Moro.
In attesa dell’eventuale finanziamento integrativo, con delibera di giunta n.00238-2014 del 09/07/2014 il Comune di Matera ha deciso, per motivi di disponibilità finanziaria, di realizzare solo l’edificio destinato a scuola materna ed elementare,  in attesa del finanziamento integrativo per la scuola media, l’auditorio e la biblioteca. Qui il bando pubblicato in data 29 Ottobre 2014, con tutta la documentazione integrativa.

Il “monitoraggio continuo”
L’Associazione RENA, dopo aver coordinato il monitoraggio relativo ai lavori di Borgo La Martella, ha deciso di organizzare un focus specifico sul caso della Scuola di via Bramante.
La Summer School è stata il punto di partenza per un dialogo orizzontale tra i cittadini e l’amministrazione, per un confronto diretto tra due portatori di interessi simili e diversi ad un tempo, che spesso fanno fatica a capirsi vicendevolmente. L’incontro è stato il primo passo per facilitare un dialogo con le Istituzioni che spesso trova nei rispettivi linguaggi ostacoli comunicativi significativi, benché da entrambe le parti ci sia la voglia di risolvere i problemi e si lavori nella stessa direzione.
Tale processo ha consentito soprattutto ai cittadini di leggere in maniera corretta le dinamiche istituzionali, di fungere da stimolo costruttivo per l’accelerazione dei processi amministrativi e di innescare forme di monitoraggio dei lavori più efficaci.

La condivisione attraverso questo blog delle evoluzioni del monitoraggio continuo della scuola di Via Bramante è uno di questi processi innescati e potrebbe portare alla realizzazione di una sorta di raccolta di spunti operativi per altri cittadini che si vogliono attivare per lo sblocco o l’accelerazione di progetti importanti che fanno fatica ad arrivare al traguardo.

Primi passi del monitoraggio continuo.
Il progetto della scuola di via Bramante non è presente in OpenCoesione: tuttavia il Piano Nazionale Città è stato in parte finanziato con Fondi PON Reti e Mobilità, poi confluiti nel Piano Azione e Coesione. Ed infatti alcuni dei progetti del Piano Nazionale Città di Matera sono presenti sul portale governativo.
All’inizio erano previsti sette interventi (come potete vedere nell’immagine): sia la scuola di Borgo La Martella (qui la scheda su OpenCoesione) che quella di Via Bramante, housing sociale, verde, farmacia e ambulatorio, teatro.
Poi l’intervento sembra essere stato ridimensionato a soli quattro progetti: housing sociale, verde, teatro e scuola di via Bramante. In una conferenza stampa dello scorso 6 Agosto l’attuale Assessore all’Urbanistica Pasquale Lionetti ha dichiarato: “Il finanziamento complessivo di 8.940.000 euro venne ripartito in quattro capitoli: Borgo La Martella, realizzazione di 8 alloggi di edilizia pubblica (1.780.000 euro); Riqualificazione teatro biblioteca (1.892.051,87 euro); Verde attrezzato e infrastrutture (846.936,88 euro); scuola di via Bramante (4.420.000 euro)”.

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Dunque una delle prime domande cui si vuole provare a dare una risposta è se c’è stata una riprogrammazione dei fondi del Piano Nazionale Città ed in base a quali parametri è stata fatta.

Inoltre due primi obiettivi per i monithorers della scuola di via Bramante potrebbero essere questi.

Scuola 2.0 ed ecosostenibile
L’allora assessore all’urbanistica, Ina Macaione, in occasione della presentazione alla stampa della convenzione firmata col Ministero delle Infrastrutture il 27 Agosto 2013, aveva presentato la futura scuola come il primo edificio scolastico 2.0 del Sud Italia, le cui realizzazione sarebbe stata improntata a questi principi: “risparmio energetico, massimo soleggiamento, verde, tempi e costi controllabili, economicità, velocità e sostenibilità” (qui il comunicato stampa).

Relazione illustrativa e tecnica
Il primo passo per capire se la promessa di realizzare la prima scuola 2.0 ed ecosostenibile del Sud Italia sarà mantenuta, potrebbe essere proprio la disamina della documentazione allegata al bando.  In attesa che il Capitolato di Appalto ci fornisca indicazioni più specifiche sul programma operativo per la consegna dei lavori e sulle consegne parziali, in maniera da poter provare a definire un calendario di visite al cantiere o incontri col RUP per verificare l’andamento dei lavori.

Nella relazione illustrativa sono riportati:

  • indirizzi della progettazione;
  • descrizione dei criteri e delle scelte progettuali;
  • il progetto delle aree verdi.

Nella relazione tecnica, a pag. 10, c’è una descrizione più dettagliata degli indirizzi di progettazione degli impianti tecnologici della futura scuola, con  un paragrafo dedicato a “dati e connessione”.

“Il nuovo sistema educativo si fonda sempre più sulla facilità di accesso alle informazioni e sulla possibilità di una loro immediata elaborazione. Pertanto è fondamentale progettare una buona connessione dell’edificio scolastico alle reti dati con agevoli accesso alle reti all’interno degli spazi. E’stata prevista un’ottima connessione alla rete sia via cavo che attraverso una wifi diffusa in tutti gli ambienti, oltre che molte prese elettriche per l’alimentazione delle dotazioni hardware (LIM, tablet, computer, periferiche, e-book reader ecc.).”

to be continued..

 

Se la crescita è un termine …

I termini economico-finanziari sono complessi perché lo sono i concetti che veicolano. Oscuri per il/la cittadino/a comune come “deflazione” oppure apparentemente chiari come “crescita”. Sono termini sempre più spesso usati dai media per descrivere la situazione economica italiana il cui esatto significato dovrebbe essere reso comprensibile dalla comunicazione pubblica e dagli stessi media.

E’, infatti, proprio un compito dei comunicatori pubblici, a livello della Ue come del più piccolo comune, far capire a tutti le terminologie specialistiche dei documenti istituzionali, spiegandole attraverso parole comuni, senza perdere infomazioni significative banalizzando i concetti. I comunicatori e le comunicatrici delle PA devono saper gestire le informazioni istituzionali dei documenti programmatici ed amministrativi in testi usabili per media differenti, con linguaggi semplici non solo per chi vuole fare impresa, ma anche per i tanti e le tante “umarells”, non esperti/e del lessico unionale della finanza pubblica, che vogliono interessarsi della cosa pubblica.

Chi vuole monitorare le spese delle opere realizzate con gli investimenti pubblici deve poter accedere a documenti di facile lettura e comprensione; oltre al fatto di poter trovare i dati economico-finanziari allineati, vale a dire uguali perché sincronicamente aggiornati, quando consulta le fonti istituzionali della filiera delle PA coinvolte nella realizzazione del progetto osservato.

Al momento l’Unione europea ha sviluppato  una banca dati multilingue ma i loro principali utenti sono i traduttori. Risorse come la banca dati mutilingue del Parlamento europeo, sono poco conosciute da chi si occupa di comunicazione e di giornalismo. Queste risorse vanno ampliate e sviluppate per diventare strumenti di conoscenza e di divulgazione delle terminologie specialistiche, a partire da quella economica-finanziaria che riguarda la gestione dei progetti e degli investimenti pubblici.

Quali sono le risorse terminologiche dell’Unione europea? Come usarle? Come rendere più efficace la comunicazione della strategia Europa 2020?

Ne discuteremo venerdì 7 Novembre, dalle 9.30 alle 13.30, nell’aula magna di Scienze Politiche dell’Università di Salerno, all’incontro di studio

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L’iniziativa ha principalmente due obiettivi: da un lato aprire un confronto scientifico sugli strumenti per conoscere e divulgare la terminologia dei documenti istituzionali dell’Unione Europea per renderli più comprensibili; dall’altro cercare di avviare una riflessione con i professionisti dei media su come comunicare per facilitare l’accesso alle opportunità della strategia Europa 2020 e puntare, così, alla crescita.

E’ il primo appuntamento del ciclo di ince ho ideato per accrescere la formazione degli studenti del mio corso “Comunicazione pubblica e linguaggi istituzionali” e del dottorato di ricerca sulle Scienze della Comunicazione del Dipartimento di Scienze Politiche, Sociali e della Comunicazione dell’Università di Salerno. Gli incontri di studio saranno realizzati in collaborazione con Ass.I.Term, Associazione italiana per la Terminologia e con Realiter, la Rete panlatina di terminologia, con il patrocinio di Cittalia, Fondazione ANCI Ricerche, e Termcoord, l’Unità di Terminologia del Parlamento europeo.
Ovviamente saranno ben accolte altre collaborazioni e patrocini 🙂

 

L’immagine è una word cloud del regolamento generale sui Fondi strutturali europei 2014-2020 (CC-BY Luigi Reggi).

Cosa possono fare i QR codes per la trasparenza delle politiche europee

I QR codes, una tecnologia risalente agli anni ’90, sono stati a lungo considerati un fallimento.
C’è addirittura chi si è spinto a sostenere, come l’esperto di marketing Scott Stratten, che i QR codes uccidono i gattini 🙂

In realtà, dopo che WeChat ha inserito con grande successo un lettore di QR codes nella sua app in Cina, i famigerati codici sembrano essere tornati di moda.
Clay Shirky, autore del famoso libro Here Comes Everybody, dopo una visita a Shangai ha scritto un tweet giurando che i QR codes non solo funzionano perfettamente in Cina, ma sono secondo lui tra le cose che più si diffonderanno in futuro in quanto “essenziali in un mondo basato sulle tecnologie mobili”.

La vecchia tecnologia bidimensionale e a basso costo, nonostante la disponibilità di strumenti più sofisticati come NFC o RFID, sembra dunque rinascere grazie alla ricerca di nuove applicazioni.
Una in particolare ci sta molto a cuore e potrebbe dare una grossa mano alle nostre attività di monitoraggio civico: perché non inserire i QR codes nei cartelli dell’Unione Europea che segnalano la presenza di un progetto finanziato dai fondi strutturali?

reg2007-2013 Tutti potrebbero, fotografando il codice riportato sul cartello con il proprio smartphone, trovare il link alla pagina web dedicata a quel progetto, con tutte le informazioni rese disponibili dalle amministrazioni.
I QR codes metterebbero insieme, insomma, il mondo fisico rappresentato dal vecchio cartello (strumento di comunicazione obbligatorio secondo i regolamenti europei da molti anni) con la sempre maggiore disponibilità sul web di dati aperti sui progetti grazie ai portali open data come OpenCoesione.

La possibilità di accedere facilmente alle informazioni istituzionali sul progetto abilita quindi la possibilità per il cittadino non solo di informarsi ma anche di monitorare nel tempo l’andamento del progetto e i suoi risultati. Non solo: tramite app o web gli utenti possono collaborare con le amministrazioni fornendo dati non sempre disponibili nei sistemi di monitoraggio ufficiali.  Ad esempio, il semplice scan del QR code tramite smartphone dotato di GPS permette di rilevare e inviare automaticamente le coordinate geografiche del progetto.

Il nostro tweet del 17 agosto non è passato inosservato e ha destato l’attenzione della Commissione, che propone di discutere di questa idea alla quinta Conferenza europea sulla comunicazione pubblica, e altri cittadini e istituzioni.

Potrebbero essere due le modalità concrete con cui implementare i QR codes nel regno delle politiche europee:

1) Le amministrazioni generano i QR codes. L’autorità responsabile del portale nazionale sui progetti finanziati dall’Unione Europea (oppure, l’autorità di gestione di un singolo programma europeo) potrebbe generare i QR codes e chiedere  ai beneficiari – tramite le autorità di gestione – di includerli nei propri cartelli (che sono comunque obbligatori). I QR codes collegherebbero il cittadino alle pagine web ufficiali delle amministrazioni con i dati su quel progetto specifico (es., le pagine sui progetti di OpenCoesione). La stessa pagina potrebbe contenere un link a strumenti come Monithon per dare la possibilità all’utente di effettuare il monitoraggio civico dei progetti. Abbiamo già un candidato in Italia: il Programma Nazionale Ricerca (@PONREC) è interessato all’idea e potrebbe iniziare a sperimentare.

2) In attesa delle amministrazioni, iniziative indipendenti di monitoraggio civico come Monithon potrebbero generare loro stesse i codici, per poi stamparli su adesivi che i Screen Shot 2014-08-22 at 05.30.53cittadini possono attaccare ai cartelli. I codici connetterebbero l’utente alle pagine, ad esempio, di Monithon, dove sono disponibili i dati ufficiali (pescati da fonti governative tramite – nell’esempio, le API di OpenCoesione) ma anche strumenti per raccogliere il feedback dei cittadini.

Che ne dite? 🙂