Guida al monitoraggio civico – Tema: Istruzione

Linee di indirizzo strategico dell’Accordo di Partenariato 2014-2020

La qualità dell’istruzione e della formazione e l’innalzamento e l’adeguamento delle competenze rappresentano fattori essenziali per rispondere alle sfide poste dalla Strategia Europa 2020, fondata su una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Il rafforzamento del sistema educativo e formativo non deriva solo dalla necessità di un accrescimento delle conoscenze e delle competenze quali fattori di sviluppo economico e produttivo, ma anche dalla qualità dell’istruzione e della formazione come elemento costitutivo di benessere in senso più ampio e non esclusivamente connesso alla dimensione economica. Su questo fronte, nonostante i miglioramenti registrati nel corso degli ultimi anni, l’Italia continua a manifestare notevoli criticità e conseguenti fabbisogni di intervento.

L’esame dei tassi di disoccupazione e di occupazione dimostra che il livello di istruzione/formazione posseduto incide in maniera rilevante sulla probabilità di essere occupato e nel contenimento del rischio di perdita dell’occupazione; d’altro canto, anche in funzione della necessità di ottimizzare l’uso delle risorse, è essenziale concentrare gli interventi favorendo un maggiore incontro tra domanda ed offerta di competenze. Per il periodo di programmazione 2014-2020 viene quindi operata un’importante scelta strategica riguardante l’istruzione e la formazione, nel senso di riqualificarne e precisarne la missione di strumento per lo sviluppo di competenze funzionali all’esercizio di una cittadinanza attiva, all’inclusione sociale, nonché al raggiungimento di obiettivi di tipo occupazionale o professionalizzante. Conseguentemente, il sostegno finanziario è indirizzato verso percorsi in grado di fornire sia esiti formativi tangibili, in termini di innalzamento dei livelli di apprendimento degli studenti e di riduzione del tasso di abbandono scolastico, sia esiti occupazionali credibili (perché adeguati alle competenze già possedute e legati alla domanda di lavoro sul territorio, come desumibile da meccanismi di quasi-mercato ovvero da rilevazioni affidabili ed aggiornate).

In tal senso, la formazione professionale specifica deve rappresentare una leva importante – per i giovani – per il contributo che può dare in termini di contrasto all’abbandono scolastico e formativo, di ampliamento dell’offerta di istruzione e formazione professionale di qualità, di facilitazione della transizione verso l’occupabilità e per l’istruzione terziaria, e come mezzo – per gli adulti – per l’adeguamento delle proprie competenze, il mantenimento dell’occupazione o per la ricerca di nuova occupazione. Rispetto quindi ad approcci più omnicomprensivi, pure richiesti a livello europeo (lifelong learning objectives and approach), prevale l’esigenza di concentrazione delle risorse su un iniseme più limitato di risultati ed azioni rispetto a quello possibile.

Le linee di intervento sulle quali innestare le operazioni durante l’arco della programmazione, sono quindi indirizzate alla qualificazione di un sistema nazionale di istruzione e di formazione professionale: 

  • coerente con i fabbisogni espressi dal sistema produttivo e sia integrato nelle sue diverse componenti;
  • caratterizzato da elevati livelli di qualità, conoscibilità e valutabilità sulla base dei risultati prodotti e in linea con i requisiti previsti dalle Raccomandazioni europee (in materia di qualità e di costruzione di un sistema di riferimento per il riconoscimento e la certificazione delle competenze comunque acquisite);
  • garantisca la mobilità professionale e geografica dei cittadini, attraverso adeguati strumenti per agevolare il riconoscimento degli apprendimenti comunque acquisiti e le transizioni (formazione – lavoro e da un’occupazione ad un altra);
  • orientato allo sviluppo e mantenimento dei livelli di competenze degli adulti per vivere e lavorare nella società attuali ad alto contenuto tecnologico e di conoscenza; 
  • agevoli la transizioni tra il sistema scolastico e formativo e il mercato del lavoro, anche in sinergia con gli interventi previsti nell’ambito dell’OT8; 
  • garantisca la massima inclusione ed accessibilità, contribuendo alla lotta alla dispersione formativa e all’emarginazione sociale.

Anche l’orientamento non si configura come un risultato a se stante, bensì per il suo valore strumentale di supporto delle scelte rilevanti sui percorsi formativi e lavorativi e delle transizioni scuola-formazione-lavoro e lavoro-lavoro, come strumento di rilievo generale, da prevedere diffusamente e trasversalmente nell’ambito di tutti i diversi altri risultati attesi individuati. 

Considerando poi in maniera analitica le principali criticità/aree di miglioramento, emerge in primo luogo il tema della dispersione scolastica e formativa, rispetto al quale occorreintraprendere azioni più mirate e coordinate per affrontare la sfida dell’abbandono scolastico precoce, combinando prevenzione, interventi e misure compensative. La dispersione rimane, infatti, su valori ancora troppo elevati, soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno. La percentuale di giovani in età 18-24 anni che abbandonano precocemente gli studi si attesta infatti al 18,2 per cento a livello nazionale e al 21,2 per cento per il Mezzogiorno, a fronte di un target del 10 per cento fissato per il 2020 dalla Strategia Europea e declinato al 15-16 per cento, quale obiettivo italiano, dal PNR. Il tasso di abbandono è particolarmente marcato nel primo biennio delle scuole superiori e pregiudica, per i ragazzi in giovane età, non solo la possibilità di acquisire un titolo di studio, ma anche di maturare conoscenze e competenze fondamentali per adulti che dovranno adattarsi ad una società e ad un mercato del lavoro in continua trasformazione. Si sottolinea, altresì, la finalità inclusiva degli interventi contro la dispersione scolastica e formativa, che tende a riguardare in misura maggiore soggetti con svantaggi iniziali (economici, ambientali, culturali).

La filiera di IFP (Istruzione e Formazione Professionale) risulta particolarmente appetibile per utenze caratterizzate da stili cognitivi legati all’operatività e che necessitano di azioni di supporto e di accompagnamento. Non soltanto legato a quest’ultimo aspetto è il tema più generale delle scelte che gli allievi compiono all’uscita della scuola media. Si sottolinea inoltre, quale fattore preventivo dell’abbandono scolastico, l’importanza dell’istruzione prescolare, che può esercitare un impatto profondo e duraturo che provvedimenti presi in fasi successive non sono in grado di conseguire, rafforzando l’efficacia dell’apprendimento e riducendo il rischio di abbandono precoce.

Alla luce di un marcato quadro di criticità, che caratterizza soprattutto le regioni del Mezzogiorno, il contrasto alla dispersione scolastica viene perseguito attraverso un risultato atteso specificatamente volto alla Riduzione del fallimento formativo precoce e della dispersione scolastica e formativa (RA 10.1). E’ però evidente come un contributo importante in tale direzione, venga fornito anche dagli altri Risultati Attesi dell’OT 10, soprattutto attraverso azioni di innalzamento delle competenze, sviluppo professionale di docenti, formatori e staff e di qualificazione dei percorsi di istruzione e formazione professionale, ma anche con il potenziamento degli ambienti di apprendimento e dell’attrattività della scuola, componente essenziale per favorire la permanenza dei ragazzi all’interno di percorsi formativi.

Il diverso impegno su questo fronte fra regioni sviluppate e regioni meno sviluppate è proporzionale alla diversa gravità del fenomeno della dispersione scolastica sui rispettivi territori nonché alla diversa tipologia delle cause che lo determinano. Indubbiamente, le regioni più sviluppate presentano tassi di dispersione di livello inferiore e connotati dalla prevalenza di allievi stranieri. Permangono invece problematiche di natura diversa nelle regioni in ritardo di sviluppo: tasso di disoccupazione, livello di istruzione degli adulti, carenze ancora consistenti nelle strutture e nei servizi esterni alla scuola. 

Il ruolo dell’istruzione, quale elemento determinante per assicurare che i cittadini acquisiscano le competenze chiave necessarie per adattarsi a tali cambiamenti, viene sottolineato anche nella “Raccomandazione del Parlamento Europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente”(2006/962/CE). In tal senso, si è ritenuto essenziale intervenire in direzione del rafforzamento delle competenze chiave degli allievi e dell’innalzamento del livello di istruzione della popolazione adulta. I dati delle rilevazioni OCSE-PISA evidenziano, infatti, come quote troppo elevate di studenti italiani abbiano scarse competenze in lettura e matematica (rispettivamente il 21 e il 24,9 per cento dei quindicenni), attestandosi significativamente al di sotto della media dei Paesi OCSE. Il ritardo, confermato anche dalle prove INVALSI, assume valori particolarmente critici nelle regioni del Mezzogiorno (27,5 per cento e 33,5 per cento) che – nonostante gli importanti miglioramenti registrati – rimangono ancora lontane dagli Obiettivi di Servizio sulle competenze fissati per il 2013[1]

Relativamente alle competenze degli adulti in lettura e matematica (LIT e NUM), i risultati dell’indagine OCSE-PIAAC (Programme for the International Assessment of Adult Competencies) collocano Italia, Spagna, Francia e Irlanda negli ultimi quattro posti, con Italia e Spagna che si alternano agli ultimi posti nelle due classifiche.

Anche in termini di distribuzione attorno alla media, la situazione italiana appare molto pesante. Ad esempio, in lettura solo il 3,3 per cento degli adulti italiani si colloca ai livelli alti di proficiency (4 e 5, considerati i livelli più alti della scala OCSE) a fronte del 20 per cento della Finlandia. Viceversa, ai livelli bassi (0,1 e 2) abbiamo il 70,3 per cento degli adulti italiani e solo il 37,1 per cento dei finlandesi. Poiché il livello 3 corrisponde, secondo PIAAC, al possesso delle competenze necessarie minime per poter vivere e lavorare in modo adeguato al giorno d’oggi, se ne deduce che oltre il 70 per cento degli italiani risulta dunque non possederle. 

I risultati non migliorano se si analizza il campione suddividendolo in classi d’età. Ad esempio, l’Italia è decisamente ultima in lettura anche se si considerano solo i giovani adulti (16-24 anni). E’ particolarmente preoccupante, inoltre, il fatto che il declino delle competenze con l’età inizi già dal sedicesimo anno (dato veramente anomalo rispetto agli altri Paesi), mentre nella media OCSE comincia dopo i trent’anni.

I risultati non migliorano se li si analizza in termini di livello di istruzione (scolastica). In Italia come in tutti i Paesi i risultati PIAAC migliorano col crescere del livello di istruzione: a livelli d’istruzione più elevati corrispondono sempre maggiori competenze. L’Italia ha, come è ben noto, un forte ritardo nella scolarità generale: nei tre livelli della licenza elementare/media, del diploma secondario e della laurea si situa rispettivamente il 54 per cento, il 34 per cento e il 12 per cento della popolazione italiana 16-65 anni, a fronte di medie OCSE del 27 per cento, del 43 per cento e del 29 per cento. Questi dati penalizzano dunque certamente il risultato medio italiano in PIAAC.

Tuttavia, si deve anche notare che in Italia, per ogni livello di istruzione, i valori medi dei risultati sono molto più bassi di quelli medi OCSE, per giunta con differenze molto limitate tra un livello e l’altro. Ancor peggiori sono i risultati degli italiani con il livello maggiore di istruzione formale che si distanziano significativamente dagli omologhi degli altri Paesi, mentre chi ha al massimo la licenza elementare/media o il diploma secondario ha prestazioni meno distanti o addirittura superiori a quelle degli omologhi stranieri più vicini. Sembra quindi di poter dedurre che sono i risultati mediocri dei laureati italiani rispetto a quelli dei laureati degli altri Paesi a tirar giù la media nazionale, in particolare rispetto a Francia e Spagna. 

Se si confrontano i dati ottenuti con quelli emersi dalle indagini OCSE precedenti a PIAAC (IALS e ALL), si evidenziano comunque alcuni aspetti positivi:

  • un processo di contenimento dell’analfabetismo. Diminuisce la percentuale di popolazione che si posiziona nei livelli più bassi di competenza (la quota sotto il livello 1 passa dal 14 per cento a circa il 5,5 per cento), mentre al contempo è aumentata la percentuale di popolazione a livello 2 (dal 34,5 per cento al 42,3 per cento); 
  • la riduzione della forbice tra giovani e anziani. Il gap tra la fascia dei 16-24enni e la fascia dei 5564enni passa, per quanto riguarda le competenze alfabetiche, dai 63 punti delle precedenti indagini ai 30 di PIAAC, con un miglioramento delle fasce di età più mature;
  • la contrazione dello scarto con la media OCSE relativamente alle competenze alfabetiche e un miglioramento complessivo rispetto alle altre indagini svolte negli ultimi anni; 
  • si assottiglia, fino ad annullarsi, il divario nelle competenze di literacy tra maschi e femmine:

mentre in IALS in divario era di 11,2 punti a sfavore delle donne, in PIAAC è pressoché identico (+0,2 a favore delle donne).

L’area geografica di provenienza riveste un ruolo decisivo nella distribuzione delle competenze. Nelle regioni del Nord – in particolare nel Nord Est – e del Centro i punteggi medi ottenuti sono più elevati rispetto alla media italiana e a quelli conseguiti al Sud e nelle Isole.

I punteggi medi registrati nel Nord Est e al Centro risultano pari a quelli di molti paesi OCSE (in literacy si colloca al livello 3 o superiore rispettivamente il 39 per cento e il 37 per cento della popolazione). Il Sud e le Isole ottengono le performance peggiori: solo il 23 per cento e il 18 per cento raggiunge il livello 3 o superiore in literacy.

E’ dunque necessario rafforzare, non solo le competenze di base (italiano, lingue straniere, matematica, scienza e tecnologie, competenze digitali), ma anche quelle trasversali (imparare a imparare, competenze sociali e civiche, spirito di iniziativa e imprenditorialità, consapevolezza ed espressione culturale) essenziali per lo sviluppo personale, la cittadinanza attiva, l’inclusione sociale e l’occupazione.

Occorre poi affrontare in maniera sistematica i fattori che facilitano l’espulsione dei lavoratori maturi dal mercato, con particolare riguardo al loro livello di occupabilità, all’obsolescenza delle competenze e, più in generale, ai fattori connessi alle scelte operate sul versante della domanda di lavoro (assunzione, organizzazione del lavoro, formazione ecc.), attraverso specifiche azioni a supporto delle politiche attive, tra cui principalmente i percorsi formativi, orientate al segmento over 50 della forza lavoro con l’obiettivo di rendere sostenibile le recenti riforme in materia di età pensionistica e di ammortizzatori sociali. 

Il miglioramento dei livelli di apprendimento degli allievi può essere favorito e rafforzato, inoltre, dalla diffusione della società della conoscenza nel mondo della scuola della formazione e dall’adozione di approcci didattici innovativi, attraverso il sostegno all’accesso a nuove tecnologie e la fornitura di strumenti di apprendimento adeguati. Tali azioni si collocano in continuità con quanto realizzato nel corso della programmazione 2007-2013 che ha visto il potenziamento delle dotazioni tecnologiche e degli ambienti di apprendimento delle scuole e il rafforzamento delle competenze digitali di studenti e insegnanti. La scuola italiana, come recentemente sottolineato dall’OCSE nel rapporto Review of the Italian Strategy for Digital Schools, presenta infatti importanti ritardi nel processo di diffusione delle tecnologie digitali e notevoli fabbisogni di intervento. La programmazione 2014-2020 potrà fornire un apporto essenziale all’accelerazione dei processi di innovazione della scuola e della formazione italiana, in linea con gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea e della strategia dell’Agenda Digitale Italiana, intervenendo in direzione di una maggiore semplificazione e digitalizzazione del mondo dell’istruzione e della formazione e sostenendo l’evoluzione dalla classe 2.0 alla scuola 2.0 anche attraverso azioni di formazione rivolte ad insegnanti e formatori.

L’innalzamento dei livelli di competenza e il reinserimento in percorsi di istruzione e formazione assumono rilevanza anche per la popolazione adulta, contraddistinta da livelli di istruzione inferiori rispetto alla media europea. Il 44,3 per cento degli adulti italiani in età 25-64 anni – il 51,6 per cento nel Mezzogiorno – detiene al massimo un titolo di scuola inferiore. Ai bassi livelli di istruzione si accompagna inoltre una bassa partecipazione alle iniziative di apprendimento permanente: nel 2011 solo il 5,7 per cento della popolazione adulta ha frequentato un corso di studio o di formazione professionale. Al riguardo si segnala l’importanza di processi di recupero di alfabetizzazione e competenze anche per adulti in condizione o a rischio di marginalità sociale.  

I dati PIAAC relativi al 2012 evidenziano ulteriormente la bassa partecipazione ad attività di formazione degli adulti italiani tra i 16 e i 65 anni: 24 per cento contro il 52 per cento della media OCSE. Il vantaggio della partecipazione ad attività di formazione in termini di competenze risulta evidente. Coloro che ne hanno usufruito raggiungono livelli di competenza maggiori anche se continuano ad essere alimentati circoli viziosi che premiano i più competenti.

Alla luce della centralità della conoscenza e delle competenze nel perseguimento di una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, l’Unione Europea ha inoltre individuato l’innalzamento della quota di popolazione con istruzione terziaria ad almeno il 40 per cento fra gli obiettivi principali per il 2020. L’Italia, con una percentuale del 20,3 per cento, si colloca lontano sia dal benchmark comunitario che dal target nazionale fissato al 26/27 per cento dal PNR. Un altro elemento di criticità è rappresentato dall’elevato abbandono degli studi universitari significativamente al di sotto della media UE e indicativo della mancanza di adeguamento delle abilità/competenze alle esigenze del mercato del lavoro. I risultati attesi e le azioni in questo ambito puntano ad innalzare i livelli di competenze, di partecipazione e di successo formativo nell’istruzione universitaria e/o equivalente, dando priorità sostanziale ai percorsi disciplinari con maggiori ricadute sul mercato del lavoro, tanto in termini occupazionali (ingresso nel mercato del lavoro) quanto al fine di stimolare l’auto-imprenditorialità dei giovani laureati. Se, da un lato, occorre un intervento da parte delle Università e dagli Istituti di istruzione superiore, con il supporto e lo stimolo delle Autorità nazionali, al fine di migliorare la rilevanza delle competenze acquisite dai laureati al termine dei percorsi di studio, dall’altro, le stesse Università ed Istituti di istruzione superiore devono intervenire per garantire un contributo efficace all’innovazione regionale e, in ultimo, allo sviluppo sociale ed economico. Questo avviene attraverso iniziative specifiche come incubatori, interventi di supporto agli spin off, consultazione del mondo del lavoro nella progettazione dell’offerta formativa, da affiancare agli ormai consolidati tirocini curricolari. In questo ambito, rilevante è anche la connessione e la complementarità degli interventi delle politiche di coesione con azioni e programmi europei, quali le “Azioni Marie Curie – Promuovere le carriere nella ricerca” che finanziano borse di ricerca europee destinate ai ricercatori e sono finalizzate a promuovere l’eccellenza e l’innovazione in Europa.

Il miglioramento dell’offerta formativa ed educativa è in particolare indirizzato ad agevolare la mobilità, l’inserimento/reinserimento lavorativo e accrescere le competenze della forza lavoro. Infatti, tale esigenza, sottolineata dai documenti strategici comunitari, risulta accentuata a seguito dell’impatto della crisi economica, che ha comportato pesanti perdite occupazionali, con conseguente innalzamento dei livelli di disoccupazione e del ricorso allo strumento della cassa integrazione. Elementi di preoccupazione riguardano la marcata crescita della disoccupazione giovanile, elevata e in aumento a livello nazionale, ma che assume dimensioni di particolare criticità nel Mezzogiorno, dove nel 2011 il 40,4 per cento dei giovani in età 15-24 anni risulta disoccupato e i dati provvisori sul 2012 segnalano il rischio di un ulteriore peggioramento. All’aumento della disoccupazione giovanile si accompagna anche la crescita della quota di giovani (15-29 anni) che non lavorano e non studiano (NEET), che nelle regioni meridionali raggiunge il 31,9 per cento.

Una condizione particolarmente svantaggiata e sulla quale intervenire per il miglioramento dei livelli e qualità delle competenze è quella dei disoccupati di lunga durata. Secondo i dati PIAAC, il perdurare della disoccupazione contribuisce, infatti, al declino dei livelli di competenza. I disoccupati di lunga durata (da più di 12 mesi) raggiungono un punteggio medio significativamente più basso rispetto ai disoccupati di breve periodo (meno di 12 mesi). Inoltre, va evidenziato che il declino delle competenze è strettamente collegato alla tipologia di lavoro svolta: il 51 per cento dei disoccupati di breve durata che hanno svolto professioni ad alto contenuto di conoscenza si collocano ad un adeguato livello di competenza contro il 31 per cento dei disoccupati di lunga durata.

Il tema dell’occupazione è, quindi, strettamente correlato con quello dell’istruzione/formazione e dell’innalzamento delle competenze; così come le tipologie di azioni da sviluppare in questo Obiettivo Tematico e nell’Obiettivo Tematico 8. Sul versante delle competenze della manodopera e dell’istruzione e formazione tecnica, la demarcazione tra Obiettivo Tematico 10 ed Obiettivo Tematico 8 si sostanzia sulla base alla tipologia di azione posta in essere: in OT 10 vengono supportati i percorsi formativi, mentre in OT 8 viene data evidenza ai percorsi di politica attiva globalmente intesi, laddove l’eventuale percorso di formazione potrebbe costituire una componente del pacchetto di misure di politica attiva offerta. Tale pacchetto può comprendere, tra le sue misure di politica attiva globalmente intese, ad esempio percorsi di apprendistato, incentivi, percorsi di orientamento, tirocini ed anche percorsi formativi[2].

Sussiste, inoltre, la necessità di dotare il Paese di un sistema nazionale di standard formativi e di riconoscimento e certificazione delle competenze che possa fungere da riferimento comune ed omogeneo per cittadini, lavoratori, mondo produttivo, istituzioni e società civile, superando le frammentazioni e disomogeneità presenti a livello territoriale e ricomponendo le qualifiche e le competenze in un quadro comune nazionale, collegato al Quadro di riferimento europeo (EQF) e sostenuto da un sistema di assicurazione della qualità basato su standard condivisi, in raccordo con le azioni dell’OT11.

In questa ottica, devono essere ricercati e condivisi requisiti e specifiche omogenee ai diversi settori e professioni, curando quindi le interconnessioni con approfondimenti specifici, come ad esempio nel campo delle professioni del sociale, trattate direttamente nell’OT 9. 

C’è un potenziale enorme in termini di diversificazione economica in attività connesse all’agricoltura o in nuovi settori diversi da quello primario: la produzione di energia pulita, le iniziative nel campo del turismo, le certificazioni di prodotti agro-alimentari di qualità e la tipizzazione delle produzioni sono tutte attività che andrebbero maggiormente sviluppate anche attraverso la promozione di specifici interventi formativi. Parimenti, lo sviluppo della green economy richiede tanto interventi volti a rafforzare competenze ambientali in una pluralità di figure professionali esistenti, quanto azioni volte alla creazione di figure nuove. 

A fronte della preoccupante situazione occupazionale dei giovani, le Raccomandazioni del Consiglio dell’Unione Europea di luglio 2012, come anche la Raccomandazione del Consiglio dell’aprile 2013 sulla Garanzia per i Giovani, sottolineano la necessità di intensificare le misure per combattere la disoccupazione giovanile, migliorando anche la pertinenza del percorso formativo rispetto al mercato del lavoro e facilitando il passaggio verso l’occupazione. Benché il riferimento a dati previsionali possa soffrire oggi, più che in altri anni, dello scarto tra le visioni di prospettiva espresse dalle imprese e l’effettivo andamento delle dinamiche delle entrate e uscite dal mercato del lavoro, le informazioni relative alle caratteristiche degli inserimenti previsti in impresa, così come presentate nell’ambito del Progetto Excelsior continuano a sostenere l’urgenza di rispondere alla richiesta di una formazione tecnica e professionalizzante a più livelli. Per quel che riguarda le imprese attive nel settore dell’industria, ad esempio, i desiderata fanno riferimento a competenze tecniche di medio e alto livello tali da essere funzionali a innalzare la capacità organizzativa in un’ottica di efficienza gestionale della organizzazione e ad accrescere qualitativamente − anche in termini innovativi − le produzioni. Gli obiettivi – in linea con l’attenzione dedicata negli ultimi anni alla filiera lunga della formazione tecnico e professionale in modo trasversale a livelli e sistemi (dai percorsi triennali e quadriennali, al riordino dei tecnici e dei professionali di stato, alla riorganizzazione del livello IFTS e alla configurazione di un nuovo sistema terziario al di fuori delle università) – rafforzano la strategia auspicata per non disperdere una struttura imprenditoriale legata alla tradizione manifatturiera, alla creatività del Made in Italy e alla competitività internazionale. Si ritiene necessario, pertanto, sviluppare e rafforzare tale connessione e concentrare lo sforzo in direzione di una maggiore qualificazione dell’offerta di istruzione e formazione tecnica e professionale, attraverso l’intensificazione dei rapporti scuola-formazione-impresa e lo sviluppo di poli tecnico professionali

In questo ambito, si tenderà a promuovere una maggiore partecipazione femminile alla filiera di istruzione e formazione tecnico – professionale, in cui le donne continuano a rappresentare una componente minoritaria. L’acquisizione di titoli di studio “forti” e più strettamente connessi ai fabbisogni del mercato del lavoro potrebbe infatti contribuire a ridurre i gap di genere, tuttora rilevanti, in termini di accesso e permanenza in occupazione, ma anche di differenziali retributivi e percorsi di carriera.

Assumono, altresì, particolare importanza, anche alla luce degli ampi fabbisogni che contraddistinguono il territorio nazionale, gli interventi di riqualificazione degli istituti scolastici e formativi, in direzione del miglioramento della sicurezza, dell’efficientamento energetico, dell’attrattività degli ambienti scolastici, della fruibilità da parte dell’utenza disabile, nonché del potenziamento dell’accessibilità ai servizi dell’istruzione e socio educativi nelle aree rurali e interne. 

Nel settore agro-alimentare e forestale, le azioni nel campo formativo, della consulenza tecnica ed economica, della formazione dei consulenti e dei servizi sostitutivi rivestono una portata orizzontale rispetto a tutte quelle previste nei precedenti obiettivi tematici. Tali azioni saranno rivolte sia alle aziende agricole sia alle piccole e medie imprese non agricole, per queste ultime con riferimento alle aree rurali C e D. Le azioni formative rivolte alle aziende agricole sono svolte di norma dal FEASR, senza però escludere che possano essere realizzate azioni complementari a carico dei programmi del FSE per rafforzarne l’efficacia. Gli enti accreditati all’erogazione dei servizi di formazione e di consulenza dovranno dimostrare un’adeguata dotazione di competenze tecniche e di personale, nonché di tutti gli altri requisiti, nella scelta delle attività, previsti dal regolamento sullo sviluppo rurale. I programmi di formazione e di consulenza dovranno essere mirati, coerenti con le priorità individuate nei PSR, collegati in via prioritaria ai seguenti tematismi:

  • azioni necessarie a ridurre gli errori dei beneficiari delle singole misure, sulla base dei tassi d’errore che emergono dagli audit e dalle analisi delle singole Regioni e degli Organismi Pagatori;
  • innovazione nel campo agro-alimentare e forestale (anche all’interno dei gruppi PEI) nonché azioni di formazione, alfabetizzazione e consulenza per promuovere l’adozione delle TIC nelle aziende agricole e nelle piccole e medie imprese nelle aree rurali;
  • temi di carattere ambientale quali la mitigazione e l’adattamento ai cambiamenti climatici, l’energia rinnovabile, la gestione delle risorse idriche e la biodiversità;
  • progetti di filiera (incluse le filiere corte) e alle iniziative collettive di cui all’art. 36 del regolamento sullo sviluppo rurale;
  • temi della diversificazione delle attività da parte della famiglia agricola, nei settori con maggiori opportunità di lavoro da individuare nei programmi di formazione regionali.

Trasversalmente ai vari ambiti di intervento si pongono le necessarie azioni di monitoraggio e valutazione, così come le indagini internazionali (es. PISA, PIAAC OCSE) cui l’Italia deve continuare ad assicurare una partecipazione attiva ed incisiva, anche per diffonderne le migliori pratiche e metodi a livello interno. Sempre in maniera trasversale ai vari ambiti di intervento, verrà ricercata la connessione e la complementarità con le azioni realizzate nell’ambito del Programma Erasmus +, di grande rilevanza sia per la mobilità ai fini di apprendimento, sia per lo sviluppo delle competenze.  

In ragione della perdurante difficoltà e lacune del sistema pubblico nella programmazione, gestione e attuazione delle politiche, che si traducono in ritardi e inefficienze, si ritengono necessari interventi di rafforzamento della capacità istituzionale, volti a migliorare la governance complessiva del settore di istruzione e formazione e a svolgere dunque una funzione strumentale al raggiungimento dei risultati attesi. In particolare, interventi di sistema, volti a sostenere e affiancare le istituzioni scolastiche e formative nel miglioramento delle capacità di auto-diagnosi, auto-valutazione e valutazione e delle capacità di innovare la propria didattica adattandola ai contesti. In linea con quanto previsto dal Regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione, approvato dal

Consiglio dei Ministri l’8 marzo 2013, l’estensione e la messa a regime su tutto il territorio nazionale del Sistema Nazionale di Valutazione svolgerà un servizio fondamentale di rafforzamento del sistema, aiutando ogni scuola/istituzione formativa a monitorare gli indicatori di efficacia e di efficienza dell’offerta formativa e a spingersi in direzione di un progressivo miglioramento, fornendo all’Amministrazione scolastica le informazioni utili a progettare azioni di sostegno per le scuole in difficoltà e offrendo alla società civile e ai decisori politici la dovuta rendicontazione sulla effettiva identità ed efficacia del sistema di istruzione e formazione. Il rafforzamento dei processi di valutazione in direzione di un ampliamento delle prove disciplinari volte a monitorare il rendimento degli studenti – attualmente ristrette all’italiano e alla matematica – anche in relazione ad altre competenze di base e trasversali, potrà inoltre offrire un importante contributo all’accrescimento delle competenze dei giovani, anche nella prospettiva del loro inserimento nel più ampio orizzonte del mercato del lavoro europeo e globale.

Questi interventi saranno finanziati nell’ambito dell’Obiettivo Tematico 11.

Va evidenziato, come fatto sul versante occupazione, la complementarità con il Programma nazionale attivato a valere sul Fondo europeo Asilo Migrazione e Integrazione (FAMI), il quale sostiene le politiche migratorie degli Stati membri e, in particolare, per quanto riguarda questo Obiettivo Tematico, l’integrazione degli stranieri immigrati e la tutela dei minori stranieri non accompagnati nelle politiche dell’istruzione e della formazione. 

Il sostegno all’Obiettivo Tematico sarà prevalentemente assicurato dall’apporto del FSE e per gli interventi di miglioramento delle competenze della forza lavoro anche dal FEAMP e dal FEASR.

In linea con i deficit e i bisogni identificati nella mappatura delle esigenze (cfr. sezione 1.1), il FSE e il FESR, interverranno nel sistema nazionale di istruzione.A titolo del FSE, i POR interverranno relativamente alle competenze regionali in tutti i risultati attesi con azioni dirette agli individui e ai sistemi. I PON indirizzeranno i loro interventi verso azioni volte a sostenere l’adeguamento dei sistemi per migliorarne qualità ed efficienza e per colmare i divari territoriali. Ulteriore obiettivo dei Programmi, sia il PON “Per la Scuola – competenze e ambienti per l’apprendimento” che il PON “Sistemi di politiche attive per l’occupazione”, è l’implementazione di un sistema nazionale di valutazione delle politiche e degli interventi.

A titolo del FESR, il PON “Per la Scuola” – competenze e ambienti per l’apprendimento – si farà carico di attuare una politica nazionale di modernizzazione del settore dell’istruzione per la fruibilità e la sicurezza degli ambienti scolastici, in particolare delle scuole tecniche e professionali, nonché la diffusione di nuove attrezzature atte al miglioramento della didattica. I POR delle Regioni meno sviluppate contribuiranno agli obiettivi nazionali in collaborazione con l’amministrazione titolare del PON.


[1] Ridurre al 20 per cento la percentuale di studenti con scarse competenze in lettura e ridurre al 21 per cento la percentuale di studenti con scarse competenze in matematica.

[2] In particolare, con riferimento ai settori che offrono maggiori prospettive di crescita (ad esempio nell’ambito di: green economy, blue economy, servizi alla persona, servizi socio-sanitari, valorizzazione del patrimonio culturale, ICT).